La Piccionaia - I Carrara
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La caratteristica unica della "bottega" di Commedia
dell'Arte formatasi dalla fine degli anni settanta intorno ai Carrara
è quella di nascere direttamente da una tradizione
teatrale familiare, quella delle "Farse".
A differenza dei percorsi colti che hanno prodotto quel filone che trova uno
dei suoi apici nel "Servitore di Due Padroni" di Streheler, i Carrara
indossano le maschere sopra i personaggi di quel genere che nel secolo scorso
sostituiva le commedie all'improvviso ormai scomparse, mutuandone una serie
di elementi costitutivi: l'improvvisazione, il tipo fisso, l'uso del canovaccio.
La scelta di rimettere le maschere a questi personaggi ne ha rivelato una serie
di sorprendenti elementi di continuità con quella che possiamo immaginare essere
un'Arte della Commedia, aprendo un ulteriore punto di vista sulla storia del
genere.
Dopo il successo di "Antiche Farse" presentato a Milano nel 1978, il successo della compagnia si è allargato a tutto il mondo, con numerose produzioni e tournees.
Gli spettacoli: (in aggiornamento) | |
LO ZANNI INNAMORATO regia di Marcello Bartoli |
Da "I suppositi" di L.Ariosto secondo il Canovaccio della Raccolta Correr |
UN NUOVO INCONTRO CON I CARRARA
di Renata Molinari
Ogni volta che incontro il teatro di Masi e Argia e il lavoro
della Famiglia Carrara, sono toccata dal senso di una irriducibile estraneità
e contemporaneamente dal vivo desiderio e dalla chiara percezione di una cittadinanza
a pieno diritto nel loro mondo.
L'estraneità non è solo inadeguatezza personale, è la necessità di rinunciare
ad abitudini consolidate dello studioso e dello spettatore di oggi, e anche
quella di rinunciare alla nostalgia che così raramente accetta le trasformazioni
al presente del proprio oggetto d'amore.
E' chiaro che mi trovo di fronte ad un teatro che non corrisponde a nessuno
dei percorsi ideologici della mia generazione, è altrettanto chiaro che questo
teatro non può essere allontanato nel tempo che fu: la sua caratteristica è
di essere una tradizione vera, quindi viva, viva al presente. Dunque in trasformazione,
solo che la trasformazione di una famiglia d'arte è così radicata nella natura
di questo teatro, così interna alla propria storia, che comunque sfugge a ogni
previsione esterna: dobbiamo vederne i risultati per nominare il processo. Perché
comunque a guidare tale processo sono loro, gli attori, anche per noi che stiamo
in platea o, per qualche singolare privilegio, dietro un fondale dipinto.
del resto, quando ho cercato di parlare del teatro dei Carrara, mi sono sempre
trovata nella condizione di raccontare quanto avevo appreso da loro, quanto,
ad ogni incontro, Argia e Masi mi svelavano del teatro.
Il senso di cittadinanza nasce proprio dalla forza di questa gente e dalla seduzione
della loro arte, nella consapevole e necessaria commistione di verità e illusione
che è dietro a ogni scelta, a ogni gesto del loro teatro.
Un teatro che non è diviso in teorie, poetiche, correnti, ma che si nomina per
persone e generazioni, spazi geografici, luoghi e tempi sociali. Un teatro in
cui le scelte artistiche sono scopertamente vincolate dalle condizioni materiali
della vita. Ogni volta che serpeggia la retorica, la frase fatta, nei racconti
del nomadismo teatrale più duro, il giudizio sommario viene ricacciato indietro
dalla semplice constatazione di trovarsi di fronte a un sistema complesso e
organico, dove non è possibile separare i vizi del teatro dalle sue funzioni
e dove l'orgogliosa rivendicazione della dignità del proprio mestiere fa tutt'uno
con l'ironica rappresentazione degli stereotipi e dei vezzi di questo mondo.
Ecco allora che il repertorio torna ad essere esibito
come dote degli attori, e ad un tempo come campo per le loro sfide. E' certo
uno spreco, ma anche in quanto tale una grande lezione di teatro tentare oggi
quattro debutti consecutivi. Come può essere uno spreco, ma estremamente generoso,
usare la forza e gli appoggi del repertorio per far crescere dei giovani attori.
Questi attori meritano un omaggio, anche se difficilmente il nostro omaggio
può superare la ricchezza di un racconto che fa rinascere immagini e memorie
di un tempo teatrale che è anche una stagione della propria vita.
Renata Molinari